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Il punto di vista di Alberto Polojac in merito alla puntata di Report

Anche Alberto Polojac, coordinatore di SCA Italy, ha condiviso il suo punto di vista in merito alla puntata di Report trasmessa il 15 dicembre 2024, riportato di seguito:

L’Italia, per decenni considerata il faro della cultura dell’espresso, rischia di veder appannarsi la sua immagine di riferimento globale nel mondo del caffè. Un paradosso, considerando che proprio la parola “espresso” è sinonimo di italianità, evocando ritualità, maestria e tradizione. Tuttavia, qualcosa si è inceppato. E la domanda sorge spontanea: siamo ancora leader del settore o stiamo davvero scivolando verso il “mondo della ciofeca”? Da quanto emerso dalla puntata trasmessa domenica 15 dicembre 2024 da Report sembrerebbero non esserci dubbi, non solo per i troppi errori e maltrattamenti visti nei confronti della materia prima, ma forse anche peggio per le giustificazioni espresse a questa noncuranza.

L’illusione dell’eccellenza

Per troppo tempo, l’industria italiana del caffè si è cullata sugli allori. Il nostro modello — fatto di macchine iconiche, blend storici e un mercato nazionale fidelizzato — ha funzionato così bene da renderci ciechi ai segnali di cambiamento. Invece di investire nella formazione del personale e nella cultura del prodotto, ci siamo aggrappati a modelli consolidati, confidando che bastassero tradizione (la cultura del “facciamo così da 30 anni”), numeri (se ne facciamo 10 kg al giorno deve essere buono per forza)  e immagine a mantenerci in cima. Il risultato? Un’offerta che, in molti casi, non riesce a competere con quella di altri Paesi che hanno intrapreso un percorso di innovazione e crescita qualitativa.

I modelli virtuosi all’estero

Mentre l’Italia si crogiola nella sua fama, il mondo non è rimasto a guardare. In Francia, ad esempio, e in particolare a Parigi, il caffè si è evoluto come parte di un ecosistema di alta qualità che unisce pasticceria d’élite e torrefazioni specialty, che ormai non si contano più in tutte le zone della capitale francese. Qui, non solo il prodotto è curato nei minimi dettagli, ma il caffè diventa protagonista di un’esperienza gastronomica integrata, capace di valorizzare sia la bevanda che l’accompagnamento al dolce. Vi ricordate la Francia qualche anno fa? Produceva caffè imbevibili e tostati scuri (simili ai celebri cafè creme della Svizzera), se ci andate ora e ricercate uno specialty coffee, non vi stanno nemmeno all’interno della mappa. Fate lo stesso a Roma e ve ne compariranno si e no 3 o 4 in tutta la città.

In altri Paesi, come la Scandinavia o l’Australia, l’approccio è simile: grande attenzione al racconto del prodotto, formazione del personale e un focus su sostenibilità e trasparenza. Baristi formati, clienti educati e una comunicazione efficace stanno contribuendo a una crescita culturale che l’Italia sembra tardare a riconoscere come necessaria.

Le zavorre italiane

In Italia, il sistema dei comodati d’uso — dove le attrezzature sono spesso fornite gratuitamente dai torrefattori in cambio dell’acquisto esclusivo di blend predefiniti — ha garantito per anni alti margini di profitto, ma ha anche frenato qualsiasi stimolo e ricerca. Questo modello non incentiva gli esercenti a puntare sulla qualità o sulla diversificazione, poiché li lega a un mercato standardizzato e poco flessibile.

A questo si aggiunge una percezione radicata: il caffè è visto come un bene accessibile e veloce, non come un prodotto su cui vale la pena investire tempo e risorse. La pasticceria di alta gamma fatica a integrarsi con il caffè specialty, salvo casi molto rari, nonostante il potenziale di questa sinergia sia evidente.

Il futuro: rilancio o declino?

Il mercato globale sta cambiando rapidamente. L’aumento dei costi delle materie prime e le sfide legate alla sostenibilità costringeranno il settore a rivedere le sue politiche commerciali. E mentre altri Paesi si preparano a conquistare il palcoscenico culturale del caffè, l’Italia si trova davanti a una scelta cruciale: continuare a ripetere vecchi schemi abbarbicata sull’arroganza del “abbiamo sempre fatto così” o abbracciare un nuovo modello, fatto di formazione, cultura, ricerca e narrazione del prodotto?

Il rilancio passa attraverso un cambio di mentalità. Occorre educare il consumatore italiano, ma anche valorizzare il ruolo del barista e spingere verso una maggiore integrazione tra caffè e gastronomia di qualità.

Riusciremo a riconquistare il primato che ci compete e che secondo i più ci appartiene per diritto acquisito? Oppure ci accontenteremo di restare nell’ombra di chi ha saputo fare meglio di noi?

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