mercoledì, Aprile 16, 2025
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Dazi e caffè: il mercato statunitense mostra le prime incrinature

L'amministrazione Trump impone dazi sul caffè importato che colpiranno baristi e ristoratori americani, con aumenti fino al 46%, secondo il World Coffee Portal.

Il settore della ristorazione e dell’ospitalità negli Stati Uniti si prepara a fronteggiare un nuovo scenario economico dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump di imporre significativi dazi sui maggiori paesi produttori di caffè al mondo. A partire dal 5 aprile 2025, Brasile e Colombia, responsabili della fornitura della maggior parte del caffè arabica consumato nelle caffetterie americane, saranno soggetti a un dazio base del 10%. Questa decisione avrà ripercussioni dirette sui tostatori di caffè, già alle prese con prezzi record delle materie prime, e inevitabilmente si tradurrà in costi più elevati per esercenti e consumatori finali.

I numeri di un mercato in difficoltà

Le statistiche mostrano un quadro già complesso prima dell’introduzione dei nuovi dazi. Secondo il World Coffee Portal, il prezzo medio di un latte da 16 once (473ml secondo la misurazione italiana) nelle caffetterie statunitensi ha ormai superato i 5 dollari, con alcuni locali che arrivano a far pagare più di 6 dollari per un frappé della stessa dimensione. Per comprendere la portata dell’impatto, basti pensare che nel 2024 circa il 60% delle 1,36 milioni di tonnellate di caffè importate negli USA proveniva proprio da Brasile e Colombia, con l’arabica di alta qualità che storicamente rappresenta oltre il 90% delle importazioni di caffè statunitensi.

La situazione è ancora più critica per quanto riguarda il caffè robusta, ampiamente utilizzato nei prodotti istantanei, monodose e ready-to-drink (RTD). Il Vietnam, principale produttore mondiale di questa varietà, dovrà affrontare un dazio del 46%, che potrebbe tradursi in un aumento di 2.500 dollari per tonnellata per gli acquirenti americani. Anche l’Indonesia, altro importante produttore di robusta e quarto produttore mondiale di caffè, è colpita da un dazio del 32%, così come la Svizzera.

Le strategie dei grandi marchi

Questa nuova situazione potrebbe costringere i principali attori del mercato a rivedere le proprie strategie produttive e commerciali. Nestlé, che attraverso Nespresso attualmente tosta, macina e incapsula i suoi prodotti in Svizzera prima di esportarli negli Stati Uniti (il suo mercato più grande al di fuori dell’Europa), potrebbe dover rivedere i prezzi, nonostante l’amministratore delegato Laurent Freixe avesse dichiarato nel febbraio 2025 che l’azienda era “immune ai dazi grazie alla sua impronta produttiva decentralizzata“.

Anche le aziende italiane stanno valutando come rispondere. Lavazza, che ha recentemente ampliato la partnership con il produttore di capsule Keurig Dr Pepper, attualmente spedisce circa metà del suo inventario americano dall’Italia, mentre il resto viene prodotto nel suo stabilimento in Pennsylvania. L’amministratore delegato Antonio Baravalle ha confermato che “il nostro obiettivo rimane crescere negli Stati Uniti perché ha una dimensione di mercato immensa rispetto al resto del mondo“.

Anche illycaffè, che genera circa il 20% dei suoi ricavi globali negli Stati Uniti, sta considerando di aumentare la produzione diretta nel paese. L’amministratore delegato Cristina Scocchia ha dichiarato all’agenzia Ansa: “Stiamo esplorando per capire se parte di ciò che vendiamo può essere prodotta lì“, aggiungendo a Reuters che “i dazi saranno trasferiti sul prezzo finale. Noi, come immagino faranno altri attori, stiamo valutando quale percentuale“.

Le reazioni internazionali e le prospettive future

La risposta internazionale non si è fatta attendere. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha indicato che l’UE, colpita da un dazio del 20%, risponderà con contromisure se i negoziati commerciali con gli Stati Uniti non avranno successo. Nel frattempo, il Dipartimento dello Sviluppo del Mercato Estero del Vietnam ha richiesto una sospensione temporanea dei dazi in attesa di ulteriori discussioni.

Secondo Trump, questi dazi mirano a ridurre i presunti deficit commerciali internazionali, stimolare l’economia statunitense e aumentare gli acquisti di beni prodotti internamente. Tuttavia, è importante sottolineare che solo lo 0,2% del caffè consumato negli Stati Uniti è coltivato a livello nazionale da produttori delle Hawaii e della California. Questa realtà mette in evidenza il paradosso di una politica che, pur mirando a favorire la produzione interna, colpisce un settore in cui gli Stati Uniti sono inevitabilmente dipendenti dalle importazioni.

Per gli operatori del settore HoReCa, sia americani che internazionali, questo scenario impone una riflessione strategica sulla gestione dei costi e dei prezzi, in un mercato sempre più complesso e ricco di sfide.

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